Differenze e somiglianze tra giapponese e italiano

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La lingua italiana, facendo parte del gruppo delle lingue romanze, è completamente diversa dal giapponese. Alcune differenze sono visibili a occhio nudo, come la scrittura, che è ovviamente la prima caratteristica che ci viene in mente, ma ci sono anche delle cose in comune.

In quest’articolo vedremo insieme alcune differenze e somiglianze tra il giapponese e l’italiano.

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Differenze tra giapponese e italiano

È naturale che le differenze siano più delle similitudini. La prima sostanziale differenza è la scrittura, ma possiamo elencarne altre che troverai interessanti.

La scrittura

Sicuramente la scrittura è la prima differenza che notiamo con la lingua giapponese. I kanji, resi impropriamente come “ideogrammi”, significano “caratteri cinesi”. Quando furono importati, fra il V e il Vi secolo, bisognò adattarli alla lingua giapponese che allora si parlava, totalmente diversa da quella cinese.
Questo adattamento portò a un primo abbozzo della lingua che, come tutte le lingue “primordiali”, era caotico e complesso: i caratteri venivano usati, senza vere e proprie regole, a volte per il loro valore semantico, altre per quello fonetico.

Dalla semplificazione di questo sistema di scrittura nacquero di kana, i due alfabeti sillabici (hiragana e katakana). Con i kana nacquero anche, “per mano di donna”, i primi due capolavori della letteratura giapponese: “La storia di Genji” (源氏物語 Genji Monogatari) e “Note del guanciale” (枕草子 Makura no sōshi). Non a caso, lo hiragana veniva chiamato anche onnade・女手, “mano di donna”. Per approfondire l’argomento ti consigliamo il nostro articolo Hiragana, katakana e kanji: i tre sistemi di scrittura giapponese.

I kanji giapponesi sono oltre 50,000, ma in realtà gli stessi giapponesi ne conoscono molti di meno. Se stai studiando giapponese e vuoi raggiungere il livello più alto del JLPT sappi che bastano 2000 kanji per superare l’esame N1.

Struttura della frase

La lingua giapponese segue la regola soggetto + oggetto + verbo (SOV), al contrario di quella italiana che è soggetto + verbo + oggetto.

Ad esempio, la frase “Faccio colazione ogni giorno alle 7” sarà:

私は毎日7時に朝ごはんを食べます。
Watashi wa mainichi shichiji ni asagohan o tabemasu.

La struttura della frase è come segue:
Watashi wa, 私は (io) – soggetto

Asagohan o, 朝ごはんを (colazione) – oggetto

Tabemasu, 食べます (mangio) – verbo

Generi, suffissi e linguaggio onorifico

In giapponese non esiste né numero né genere. Non ci sono diversificazioni tra maschile e femminile, o singolare e plurale, quindi puoi usare la stessa parola per riferimenti a qualsiasi numero o genere. Relativo a questo tieni presente che non ci sono coniugazioni verbali diverse per persona, quindi c’è un unica forma verbale che può essere usata per qualsiasi soggetto.

Inoltre, in giapponese esistono diversi registri linguistici. La forma piana, ad esempio, intesa come l’uso del verbo “taberu” invece di “tabemasu” per intenderci, è usata soltanto tra amici o conoscenze molto strette. Le forme onorifiche, invece, esprimono un tipo di rispetto diverso verso l’interlocutore. Queste possono essere rese mediante l’aggiunta di suffissi, come “san” alla fine del nome, oppure utilizzando vocaboli particolari per sostituire quelli del lessico corrente. In quest’ultimo caso ci riferiamo al linguaggio onorifico keigo, utilizzato perlopiù nell’ambiente lavorativo o in forma di rispetto, e che corrisponde al nostro modo di dare del lei in situazioni formali.

Particelle

Il giapponese è una lingua contestuale, ovvero che si basa molto sulle situazioni. Mentre in italiano il soggetto può essere omesso senza manomettere il senso della frase, in giapponese bisogna sempre indicare di chi o cosa si sta parlando. Non a caso, esistono due particelle: il は・wa che indica il tema della frase e il が・ga che indica il soggetto.

Relativo a questo è l’uso delle particelle. Le particelle in giapponese indicano i vari tipi di complementi. Per particelle s’intendono le postposizioni, mentre l’italiano ha le preposizioni. Pensiamo all’esempio “Watashi wa pizza wo tabemasu” che significa “Io mangio la pizza”: la particella wa indica il tema della frase (o soggetto in questo caso), mentre la particella “wo” indica il complemento oggetto.

Somiglianze tra giapponese e italiano

Se ci pensiamo bene possiamo trovare delle somiglianze tra giapponese e italiano.

Parole italiane usate in giapponese

Sono numerose le gairaigo 外来語, ovvero le parole prese in prestito da altri registri linguistici usate in giapponese. Se in inglese ne abbiamo in abbondanza, tanto da aver preso definitivamente il posto di alcune parole autoctone, le parole prese in prestito dall’italiano riguardano soprattutto il cibo e la musica.

Parole giapponesi (katakana Rōmaji Italiano
カカオ kakao cacao
ジェラート jeraato gelato
カフェラテ kaferate caffè e latte
スパゲッティ supagetti spaghetti
パスタ pasuta pasta
ピザ piza pizza
オペラ opera opera
ピアノ piano pianoforte, piano (in musica)
ソプラノ sopurano soprano

Regole di pronuncia e uso delle doppie

Per noi italiani la pronuncia è probabilmente l’aspetto più semplice da imparare della lingua giapponese, dato che si usano gli stessi suoni che usiamo nella lingua italiana. La lettura, però, non corrisponde sempre alle stesse sillabe. Tra gli esempi più semplici da fare ci sono il suono “ch”, che corrisponde alla c di “cena” o “cielo”, e il suono “sh”, che in italiano scriveremmo “sc” come nella parola “sciare”. Se pensiamo a “sushi”, infatti, la pronuncia italiana verrebbe trascritta come “susci”. Per approfondire i suoni dell’alfabeto giapponese ti consigliamo la nostra app Hiragana Quest, che puoi trovare in italiano con esempi pratici e divertenti.

Un’altra similitudine è il piccolo tsu つ. Non che in italiano ci sia il piccolo tsu, ma la sua funzione è la stessa: serve a raddoppiare la mora successiva, un po’ come le nostre consonanti doppie.

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