[Articolo gentilmente scritto da Carmen, una ragazza italiana in Giappone che sta svolgendo uno scambio universitario di un anno a Tokyo]
Quando inizia dicembre il mondo inizia a ricordarci che natale sta arrivando con luci, decorazioni e pubblicità di ogni tipo. C’è chi sostiene che il natale sia il periodo più triste dell’anno, perché ci ricorda quello che non abbiamo e quello che invece vorremmo; c’è chi invece lo adora perché è un momento in cui tutta la famiglia si riunisce, gli studenti fuori sede ritornano a casa e ci si rivede dopo tanto tempo. Questo è il mio primo anno da studente fuori sede e, purtroppo, non è bastato un treno per ritornare a casa.
Qui racconto come ho trascorso il natale da italiana in Giappone.
Vecchie e nuove tradizioni
Succede ogni anno: il 24 dicembre mi sveglio in una casa piena di odori buoni, con più persone di quante ne possa contenere. Ancora addormentata vado in cucina, dove le mie sorelle, ormai mamme, hanno già iniziato a preparare la cena e ad aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti del quartiere. E, come da tradizione, appena entro nella loro piccola area privata, vengo subito cacciata via all’urlo di “non toccare niente, è per stasera”. Così aspetto, con un buon libro, mentre vedo la casa affollarsi di parenti, di vicini che passano per portare altro cibo, di bambini – i miei nove nipotini – che iniziano a correre e che, curiosi, si affacciano nella mia camera, a volte anche solo per concedersi cinque minuti di silenzio.
Succede ogni anno, ma non è successo nel 2019. A settembre di quest’anno ho iniziato la mia esperienza di ryūgaku (留学) ovvero di studio all’estero in Giappone, a Tokyo, dove resterò fino alla fine di agosto 2020.
Abito in un dormitorio della mia università insieme ad altri studenti e, grazie a questa sistemazione, da quando sono arrivata non mi sono mai sentita da sola. Abitare in un dormitorio, quando si ha la fortuna di incontrare le persone giuste, è come vivere in una grande famiglia. C’è sempre qualcosa da fare, un compleanno da festeggiare, un film da vedere tutti insieme nella sala comune. Questi quattro mesi sono trascorsi talmente in fretta che il natale è arrivato inaspettato, inizialmente sotto forma di un enorme pacco speditomi “da giù”. La mia famiglia, per farmi sentire vicina anche se a più di 10000 km di distanza, ha deciso di spedirmi dolci, piccoli regali, le carte napoletane e la tombola. “Per giocare con i tuoi nuovi amici”, mi hanno scritto. Ho quindi realizzato che per quest’anno avrei saltato tutte le mie piccole tradizioni e che, per la prima volta in assoluto, avrei trascorso il natale lontano da casa.
Il natale in Giappone è davvero qualcosa di strano e di surreale. Le decorazioni iniziamo a comparire i primi di novembre, subito dopo Halloween. Le strade pian piano si riempiono di luci, i jingle delle stazioni cambiano e cantano sulle note di “jingle bells rock”, mentre ogni negozio sfoggia con orgoglio il suo occidentale addobbo natalizio. Se ci si ferma al 外 (soto – esterno, e quindi sulla superficie) il Giappone è pronto. L’内 (uchi – interno, il cuore delle cose) è, invece, impreparato. Il natale qui è una festa per fidanzati e me ne sono resa conto soprattutto quando una mia amica giapponese mi ha detto di essere triste perché non aveva nessun appuntamento per la Vigilia e nessuno con cui mangiare… la torta alle fragole e il pollo fritto al KFC.
Il mio natale da italiana in Giappone
La strawberry cake è il dolce di natale e sembra essere apparentemente irrinunciabile: la si trova letteralmente ovunque, dai supermercati fino alle panetterie più sofisticate, dove raggiunge dei prezzi spropositati. È una tradizione che nasce nel dopoguerra come un dolce destinato ai soli americani, dato che i suoi ingredienti (uova, burro, latte) erano molti cari, se non introvabili. Con il tempo, però, è diventata una torta accessibile a tutti, ed è per questo che è diventata quasi un simbolo di rinascita.
Per quanto riguarda il pollo del KFC (Kentucky Fried Chicken), anche questa strana tradizione giapponese è abbastanza recente. In particolare, risale agli anni ’70 quando, dopo un anno dall’apertura della catena in Giappone, il manager Takeshi Okawara introdusse il cesto di pollo fritto come menù di natale. La trovata ebbe talmente tanto successo che da allora si ripete ogni anno, ancora oggi.
Il natale, quindi, si riconferma come una tradizione importata (non a caso gli auguri vengono fatti in katakana,メリークリスマス, Merry Christmas), anche se recentemente si sta diffondendo di più l’abitudine di passare la giornata con la famiglia o con gli amici, cosa che abbiamo fatto noi al dormitorio.
Nonostante una stranissima Vigilia, trascorsa mangiando cup noodles a letto, il 25 di dicembre i miei amici e io abbiamo cucinato tutti insieme dalla mattina. Ognuno di noi ha preparato qualcosa di tipico o qualcosa che semplicemente prepara di solito per natale. Il risultato è stato un tavolo pieno di carne cucinata all’inglese, vino caldo, bruschette, formaggio e patate. Dopo cena, invece, ci siamo scambiati il nostro Secret Santa.
È stato sicuramente un modo insolito di trascorrere la giornata, per me che sono un’italiana in Giappone. Ma, in realtà, se si pensa allo spirito del natale, è stato un anno ben riuscito: distanti da casa, il natale è riuscito a riunire più di 15 persone, dal Messico all’Australia, allo stesso tavolo.
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