Consigli sulla lingua giapponese col fondatore di “Studiare (da) giapponese”

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Cercando siti per imparare giapponese online, avrai visitato il sito “Studiare (da) giapponese. Abbiamo intervistato il fondatore, Riccardo Gabarrini, che ci racconta la sua passione per la lingua giapponese, e ci dà qualche consiglio su materiali e corsi da seguire prima di andare a studiare in una scuola in Giappone.

Ciao Riccardo! Parlaci un po’ di te. Di dove sei?
Sono di Milano, ma ora vivo in provincia di Catania. La mia passione per il giapponese nasce dalla mia passione per il Giappone e questa nasce da, diciamo, “letteratura e cinematografia”, o, per essere più precisi (e onesti), da manga e cartoni animati… Oh, e poi la musica… quanta musica. Ma anche qui nulla di raffinato o cool, niente vinile: soprattutto sigle di anime. Sono sempre stato uno sfrenato consumatore di molte subcultures giapponesi, in una parola, un otaku.

Qual è la differenza tra studiare giapponese all’università in Italia o seguire un corso in Giappone?
Ho avuto modo di fare entrambe le esperienze. Dopo aver studiato per alcuni anni da autodidatta, nel 2013, circa 3 mesi prima di passare il JLPT N1, mi sono detto “ora o mai più”. Così ho deciso di affrontare le mie ritrosie, insicurezze, paure (e chi più ne ha più ne metta) e sono partito per il Giappone. Ho iniziato un corso annuale in una scuola di giapponese per perfezionarmi. Ed è stata un’esperienza fantastica. Non per i contenuti, sarò sincero, ma per tutto il resto… e c’è molto! Le persone che incontri, le esperienze d’ogni giorno, le prime conversazioni in giapponese con i compagni, le passioni in comune, le uscite, i mille piccoli “culture shock”… Anche didatticamente, non solo umanamente, sono convinto che siano queste le cose che contano davvero.

L’Università invece… Molto dipende dall’Università. Ci sono atenei che in 5 anni portano al livello N4 del JLPT, altri che portano all’N2, come Ca’ Foscari, dove mi sono iscritto al mio rientro dal Giappone. Mi sono ritirato però perché linguisticamente il livello della magistrale era troppo basso per me, mentre tutto il resto non faceva per me. Ho fatto male i miei conti. Per fare un esempio, sì, mi interessava conoscere la storia delle origini dell’animazione, ma non al punto da memorizzare un libro e dare un esame sul tema. E quando invece che di animazione si trattava di buddismo o altro… Per carità, ognuno ha le sue passioni, e studiare lingua all’Università può essere l’ideale per qualcuno, ma non faceva per me: da un lato troppo poco giapponese, dall’altro troppe divagazioni e una incomprensibile tendenza a complicare concetti semplici (e una certa dose di onanismo intellettuale). Mi sono sempre chiesto perché i corsi di laurea in lingua non offrano un curriculum parallelo con molte meno ore di letteratura, religione, ecc. per aumentare il numero di ore dedicate alla lingua e formare studenti capaci di parlare come un native speaker.

Com’è nata l’idea del sito “Studiare (da) giapponese”?
Vorrei avere un bellissimo aneddoto da riferire ma la verità è che è nato un po’ per noia e un po’ per stizza.

Dopo la laurea triennale (in Scienza dei Materiali) iniziai la magistrale, ma la scienza mi interessava sempre meno e soffrivo ogni esame: il giapponese divenne il mio rifugio. Spesso lo studiavo di nascosto dai miei. Studiare giapponese per 3 anni non fece sparire i miei esami però, per continuare ad evitarli, dovevo trovarmi qualcos’altro da fare, possibilmente più “nobile” rispetto a leggere manga in originale. E ora vengo alla stizza. Continuavo a trovare valanghe di informazioni false sul Giappone e sul giapponese. Sottotitoli di anime clamorosamente sbagliati, proverbi ed usanze inventate di sana pianta… c’era di tutto. Di nuovo, nella mia testa era sicuramente uno scopo nobile, ma a ripensarci ora, non era troppo diverso dal dire “ora vi sbugiardo”. Un atteggiamento che mi porto dietro ancora oggi, facendo rubriche come Miti da sfatare e scrivendo libri come il mio recente 100 proverbi giapponesi.
Devo dire però che avevo genuinamente intenzione di aiutare altri nello studio del giapponese, come io ero stato aiutato da alcune persone fantastiche conosciute su internet. Una sorta di “passa il favore”.

Quali libri consiglieresti ai nostri lettori per iniziare a studiare giapponese?
Ho sempre consigliato libri per lo studio del giapponese e lo faccio ancora quasi ogni giorno sul sito e sul nostro gruppo Facebook, Imparare il giapponese. Per anni ho ascoltato i problemi che gli utenti avevano con certi libri. Ho scritto non so quanti articoli e commenti per rispondere ai loro dubbi. Alla fine ho deciso di iniziare a scrivere dei libri per autodidatti perché non ce la facevo più a vedere studenti su studenti sbattere contro gli stessi muri, scoraggiarsi allo stesso modo, per colpa del materiale usato: libri disorganizzati, libri con errori, libri che evitano argomenti essenziali ma difficili (per non dispiacere al pubblico), libri tecnicamente perfetti ma scritti in modo inutilmente complesso, libri semplicemente inutili, libri scritti per farsi pubblicità…

Cosa consiglio ora? Per cominciare, il mio Kana, caratteri e suoni della lingua giapponese. È un libro che si propone di essere il primo approccio alla lingua e di interessare alla lingua in sé. In genere gli altri libri trascurano questi aspetti: partono in quarta, usano un linguaggio difficile e propongono i soliti dialoghi e i soliti esercizi.

Poi ci vorranno altri libri, certo. E non pochi. Ne ho scritto uno sui kanji, Capire i Kanji, la loro origine e il loro uso, e sto scrivendo un libro che è un corso per il livello N5 del JLPT, e ne scriverò altri. Lo so, i più vogliono un libro, uno solo, ma è un assurdo: il giapponese non può stare in un libro. Se invece quel che uno vuole è “un libro per cominciare”, allora non posso che suggerire Kana, l’ho scritto apposta perché fosse il libro ideale per cominciare.

E per quanto riguarda il materiale online?
Sul mio sito, studiaregiapponese.com, è presente materiale per arrivare a padroneggiare i kana, un corso di grammatica per il livello N5 del JLPT, liste di kanji e vocaboli suddivisi per livelli: c’è davvero tantissimo materiale sulla lingua, sulla cultura e il Giappone in generale; stiamo parlando di circa 1000 articoli! Certo ci sono molti altri siti validi che vorrei consigliare, ma sono quasi tutti in inglese (o in giapponese), quindi non sarebbero per tutti.

Qual è il valore della cultura giapponese che apprezzi di più?
In Italia vige la mentalità per cui “io faccio come mi pare (e se ti dà fastidio, al massimo me lo dici)”. Ricordo di aver chiesto ad una ragazza di smettere di parlare in biblioteca perché andava avanti da oltre 5 minuti e non riuscivo a concentrarmi. Mi disse esattamente queste parole: “e se ti dava fastidio potevi dirlo”.  Ecco, una cosa del genere è del tutto inconcepibile in Giappone, dove (se serve) ci si informa sulle regole e le si rispetta di propria iniziativa, perché… be’, sono le regole, punto. Ma anche quando l’ambiente in cui ci si trova non ha regole precise (immaginiamo di essere semplicemente all’aperto, magari in un parco), un giapponese pensa sempre se il proprio comportamento rischia di dare fastidio a qualcun altro (non a caso esiste in Giappone una singola parola per indicare il fastidio arrecato ai vicini di casa: kinjoumeiwaku). Dopo aver vissuto in Giappone per un po’ diventa dolorosamente evidente che qui nessuno cerca attivamente di non dare fastidio. Altro che inventare una parola ad hoc. È evidente che molte persone qui danno fastidio agli altri di proposito, in un tentativo puerile (animale?) di affermazione personale.

Quali sono, secondo te, le differenze più evidenti tra la cultura italiana e quella giapponese?
Ho girato il Giappone da Nord a Sud e poi ho fatto lo stesso in Italia solo un paio d’anni dopo e posso dirti che ciò che più d’ogni altra cosa salta all’occhio per un turista è l’incredibile sbilanciamento tra i due Paesi nel loro rapporto con la Cultura. Il patrimonio culturale italiano è tanto vasto quanto mal gestito, così frutta al Paese forse un decimo di quel che potrebbe fruttare. Dall’altro lato il patrimonio culturale giapponese non è piccolo ma nel contempo non è paragonabile a quello italiano; eppure è così ben gestito, il turismo è così incentivato (in questi giorni si discute in Giappone un’altra legge per accrescere il settore turistico e la sua importanza nell’economia giapponese). Immagino che si possa dire che il diverso modo di rapportarsi alla Cultura sia una delle principali differenza culturali tra Italia e Giappone.

Quali sono il kanji e l’espressione giapponese che preferisci?
Ci sono moltissimi kanji che adoro, in particolare perché molti di loro raccontano una storia, a volte la Storia. Ci sono kanji la cui origine ci racconta di particolari usanze religiose, altri raccontano l’organizzazione della società, il ruolo della donna, le punizioni per i criminali… altri ancora ci dicono come la gente festeggiava, cosa usava per spostarsi, per bere, pagare. Forse farei prima a dire quali kanji non mi piacciono, ma avrei bisogno di tempo per trovare una risposta, perché adoro i kanji. Non a caso ho scritto il libro Capire i kanji per cercare di contagiare altri con questa mia passione. Insomma, vi prego, non chiedetemi di scegliere!

Con le parole è un po’ più facile, ma non troppo. Adoro in particolare il fatto che una parola sola possa riassumere un concetto complesso, come la parola kinjoumeiwaku a cui accennavo prima. O komorebi, la luce che filtra tra le foglie degli alberi, mushaburui, il tremito d’eccitazione che percorre il corpo d’un guerriero prima d’una battaglia, tsundoku, accumulare libri senza leggerli, ecc.

Oh, adoro le strane onomatopee giapponesi che non imitano solo veri e propri suoni, ma anche sensazioni e stati d’animo, come wakuwaku che richiama un senso d’eccitazione dovuto all’aspettativa di qualcosa, yoroyoro che in qualche modo (a noi oscuro) rappresenta un modo di muoversi incerto, come il modo di camminare di un ubriaco. Per non parlare delle tante parole, anche comuni e banali, decisamente intraducibili in italiano… ma non fatemi continuare.

Che metodo di studio consiglieresti a chi parte da zero?
Da insegnante più che un metodo ho costruito un percorso per i miei studenti. Non credo si possa riassumere in poche parole e parlare di un metodo. Posso però dare dei consigli, dei fattori-chiave che sono per me imprescindibili. Innanzitutto ascolto, ascolto, ascolto. I 40 minuti del CD di un libro di corso non portano da nessuna parte. Aiutano nello svolgere gli esercizi del libro, ma non basteranno mai e poi mai per imparare pronuncia, toni, ecc.

Il mio secondo consiglio è ricordarsi che “seguire il libro non basta mai”. Sia perché didatticamente i libri sono spesso limitati, sia perché in genere risolvere un esercizio non vuol dire padroneggiare un certo argomento. Così come passare il test JLPT per un certo livello non vuol dire padroneggiare il giapponese a quel livello. Bisogna assicurarsi di capire tutto ciò che si legge, bisogna leggere più libri per uno stesso livello del JLPT, bisogna leggere materiale in lingua originale appena possibile, cercare di arricchire il proprio vocabolario al di là delle liste che i libri propongono, bisogna APPASSIONARSI alla lingua giapponese in sé perché la passione per manga, anime, cosplay, ecc. possono farci iniziare, ma per sostenerci un giovedì sera quando si va a sbattere con una frase “priva di senso”, per trovare la forza di finire la nostra ora di studio quotidiana, per riuscire a riaprire il libro venerdì sera dicendoci “ieri ho avuto delle difficoltà, oggi faccio due ore di ripasso”. Per tutto ciò serve la passione per la lingua. La notizia positiva è che non deve essere innata, la si può coltivare.

Puoi raccontarci la cosa più strana o divertente che ti è capitata in Giappone?
Ne ho una che è strana E divertente. Ho conosciuto quella che ora è mia moglie a Shinjuku, uno dei cuori pulsanti di Tokyo. Quello stesso giorno, al momento di salutarci mi ha detto che andava a prendere il treno in una certa stazione. Al che ho risposto “Anch’io, ti accompagno”. Si è diretta al suo binario, salutando, ma io l’ho seguita, perché dovevo prendere il suo stesso treno. Quando è scesa e ha cambiato treno, sono sceso anch’io. Sulla banchina mentre aspettavamo lo stesso treno potevo leggerle in fronte la parola “stalker”. È venuto fuori che vivevamo entrambi a 1 ora di treno da Shinjuku, io in un appartamento, lei in dormitorio, ad appena 3 minuti a piedi l’uno dall’altra. Ho dovuto farmi vedere mentre aprivo il portone di casa per dimostrarle che non mentivo perché avevo dimenticato a casa la mia zairyuu kaado, la carta di residenza giapponese per stranieri. “Mai uscire senza la zairyuu kaado”, ripetono spesso gli insegnanti in Giappone. Accidenti se ho rimpianto di non avergli dato retta.

Per concludere, qual è il tuo proverbio giapponese preferito?
È, non a caso, il primo proverbio del mio libro, 100 proverbi giapponesi. 月に叢雲花に風 tsuki ni murakumo hana ni kaze, Nubi sulla luna, vento sui fiori, perché descrive come spesso le cose belle sono offuscate da qualcosa, come la luna offuscata dalle nubi o i fiori dispersi dal vento. Mi ricorda che la vita è piena di bellezza e al tempo stesso che problemi e dispiaceri sono una realtà inevitabile… Non è pessimismo, semmai è una consolazione, in un certo senso, una sorta di “c’est la vie” ma più eloquente. Dice molto sulla vita e sul giusto atteggiamento nell’affrontarla: ogni volta che lo rileggo sa sempre riportarmi un senso di equilibrio (e perfino di pace) e non posso che sperare che lo stesso valga per i miei lettori e per chi è riuscito a resistere fin qui nel leggere questa lunga intervista.

Riccardo Gabarrini

Grazie mille Riccardo per aver condiviso con noi la tua passione per la lingua giapponese. I tuoi consigli saranno sicuramente utili a chi vuole iniziare ad imparare il giapponese, ma non è ancora pronto per andare a studiare in Giappone!

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