Il mio lavoro di traduttore in Giappone: intervista a Loris Usai

Tempo di lettura: 6 minuti

Il tuo sogno è di vivere e lavorare in Giappone un giorno? Tutto dipende dai tuoi obiettivi, dalla tua determinazione e da quale lavoro vorresti fare in Giappone. Abbiamo intervistato Loris Usai, traduttore in Giappone che vive a Tokyo da diversi anni, che ci racconta la sua esperienza di vita e studio.

La nostra intervista a Loris Usai, che lavora come traduttore in Giappone

Ciao Loris. Puoi presentarti ai nostri lettori?

Ciao a tutti! Mi chiamo Loris, vivo in a Tokyo e di mestiere faccio il traduttore ed interprete. Mi piace parlare di Giappone, diffondere la cultura giapponese anche sui miei social, dove parlo principalmente di vita in Giappone e anche di traduzione ovviamente e di cultura LGBTQ+ riferita al Giappone.

Person looking at a city view of Kitano Ijinkan Town (European village) in Japan.

Per un’esperienza di studio all’estero conta l’età?

Studiare all’estero è un’esperienza di vita, non ha una scadenza dal punto di vista anagrafico, non c’è un’età per stabilire quando è troppo presto o quando è troppo tardi. 

Io comunque sia ho fatto la mia prima esperienza da ragazzino a 15 anni e l’ultima quando sono venuto in Giappone a 25, e ho conosciuto tanta gente che in realtà studiava insieme a me e che era molto più grande di me, quindi non credo che ci sia un limite dal punto di vista anagrafico.

É un’esperienza che comunque vale sempre la pena fare, ed è formativa! È formativa a tutti i livelli, sempre!

Hai mai fatto un’esperienza di homestay?

Arrivare in Giappone era un sogno che avevo sin da bambino. È stata una scelta che ho desiderato profondamente sin da piccolo. Sono venuto in Giappone la prima volta all’età di 21-22 anni ed è stato bellissimo, perché tra l’altro sono venuto proprio a fare un’esperienza di homestayQuindi questo ha contribuito ovviamente ad amplificare secondo me la validità dell’esperienza.

Ecco, la ragione per cui non sono venuto subito in Giappone è che non volevo approcciare il paese dei miei sogni con un viaggio in hotel, con un viaggio di due settimane; volevo qualcosa di più profondo perché è qualcosa che io ho sognato tutta la vita. Quindi sono venuto appunto a fare un’esperienza di homestay che mi ha permesso di vedere la vita di una famiglia giapponese da dentro, che mi ha permesso di imparare mille volte più di quanto non avrei imparato da solo ovviamente. Che mi ha permesso anche di praticare la lingua giapponese, e poi sono stato per sei settimane comunque sia, ecco. Quindi è un periodo che per me era sufficiente per dire “ok, come prima esperienza ci sta!”, però insomma, è stata un’esperienza che mi ha dato la voglia, la spinta e la motivazione per continuare a studiare.

Infatti, ho iniziato il percorso di specialistica dopo il mio primo periodo in Giappone, proprio perché avevo capito che bisognava approfondire.

Cosa ti ha spinto a studiare giapponese?

La mia motivazione per iniziare a studiare giapponese è come quella di molte altre persone. Anche io da bambino sono cresciuto guardando i cartoni animati giapponesi. Molto spesso c’erano elementi più tradizionali della cultura giapponese, si vedeva gente che indossava abiti tradizionali, che dormiva sul futon, che mangiava sul kotatsu (ndr: tavolino basso riscaldato) ecc. Erano tutte cose molto affascinanti e misteriose che mi hanno avvicinato a questa cultura diversa.

Come sei diventato traduttore in Giappone?

Oltre al sogno di venire in Giappone, avevo un altro sogno nel cassetto che era quello di diventare un traduttore in Giappone e sono felice di poter dire che ce l’ho fatta.

Diciamo che diventare traduttori non è necessariamente un percorso lineare, perché ci si arriva comunque sia per varie vie e io per esempio ho scelto di lavorare come impiegato in Giappone per diversi anni e poi ad un certo punto un giorno è arrivata l’occasione. Quindi ci sono entrato un pò per caso.

C’è bisogno di una compresenza di elementi perché questo avvenga, ma come tutti i lavori credo no? Come tutte le cose belle, c’è bisogno di un lavoro preparatorio alle spalle. Con un lavoro preparatorio intendo ovviamente delle competenze adeguate. C’è bisogno di un’occasione, di un treno che bisogna cogliere al volo e che bisogna essere pronti a coglierlo; per quello la volontà è fondamentale, e poi c’è bisogno anche di conoscere tante persone. Quando in Italia si dice conoscere persone in genere c’è sempre un’ombra, no? Come una nuance negativa, anche se spesso in realtà no, perché un conto è conoscere persone e ricevere dei favori non meritati. Un conto è conoscere persone e avere la possibilità di salire sul treno che si ha il diritto di prendere. Secondo me sono due cose molto diverse e quindi non è una cosa necessariamente negativa. Bisogna essere curiosi, bisogna essere appunto intraprendenti nel conoscere persone e nel provare nuove esperienze.

Bandiere arcobaleno della comunità LGBTQ+

Cosa ti ha portato a scrivere il libro “30 anni di Barazoku”?

Ho scritto questo libro “30 anni di Barazoku” un po’ per coronare un sogno che avevo da tanto tempo, un po’ per dare un senso alla mia tesi di laurea magistrale. Nasce come progetto di tesi di laurea quando ero qui in Giappone durante il mio periodo di ricerche presso un’università di Tokyo. Cercavo un tema per la mia tesi e ho deciso di unire il mio interesse nei confronti della comunità LGBTQ+ e il mio amore per il Giappone. È la storia della formazione della comunità omosessuale giapponese grazie alla presenza della rivista “Barazoku”, la prima rivista rivolta unicamente al pubblico omosessuale, nata in Giappone nel 1971.

Quale lavoro da traduttore in Giappone ti ha divertito di più?

La traduzione che mi ha appassionato più di tutte è quella di un manga, che in Italia è uscito con il nome “Mingo – Non pensare che tutti gli italiani siano popolari con le ragazze” a opera di Giuseppe Durato, in arte Peppe, e portato in Italia da Dynit. Narra la storia di un ragazzo italiano che arriva in Giappone, dopo aver sognato il Giappone per lunghi anni e che si scontra (e si incontra) con la società giapponese. È un ragazzo italiano atipico che si allontana dallo stereotipo dell’italiano marpione. È timido, introverso, impacciato, che non ci sa fare tanto con le ragazze, un po’ un otaku anche. Mi è piaciuto perché mi sono rivisto in lui in moltissime esperienze in Giappone, credo come tutti gli italiani o gli stranieri che arrivano qui.

Studiare giapponese per diventare traduttore in Giappone

Hai 3 consigli per migliorare in giapponese?

In quanto traduttore in Giappone, il primo consiglio potrebbe essere sicuramente quello di guardare la televisione. Il materiale più accessibile a tutti è sicuramente quello della cultura pop, quindi gli anime per esempio no? Che va benissimo secondo me, però bisogna anche stare attenti perché imparare giapponese come viene parlato negli anime potrebbe essere un po’ rischioso perché poi si arriva in Giappone parlando un giapponese non molto naturale; un giapponese appunto etichettato come giapponese degli anime, dell’animazione e quello secondo me non è ideale ecco, perché poi la gente ovviamente nella vita reale non parla così.

Un secondo consiglio che darei è leggere tanti blog online. È quello che ho fatto io quando studiavo il giapponese fondamentalmente. Io ho letto tanti blog online. I giapponesi sono dei grandi scrittori anche a livello amatoriale e quindi online si trova di tutto, ed è ottimo secondo me perché si trovano moltissime espressioni colloquiali, moltissime espressioni anche idiomatiche interessanti, che però ecco appunto si trovano in forma scritta. Quindi le si può leggere, si può un attimo anche approfondire il significato degli ideogrammi, perché si dice così, quando si usano, ecc. ecc. Quindi leggere tanti blog per me è stata una chiave di volta vincente.

Il terzo consiglio che darei è quello di farsi delle flashcard. Le flashcard che cosa sono? Sono dei foglietti di carta legati da un anello, in cui si può scrivere qualcosa. Lato A la parola, lato B la lettura, l’uso e il significato. Importantissimo l’uso perché dico sempre: “mi raccomando imparare i kanji, imparare le parole, imparare le espressioni in un contesto”.

Ringraziamo Loris per questa interessante intervista su com’è diventato traduttore in Giappone professionista. Seguilo su Instagram per contenuti vari sulla cultura giapponese.

Speriamo che questa intervista ti abbia dato degli spunti utili per capire meglio come pianificare un tuo eventuale viaggio di studio in Giappone. Ti consigliamo intanto il nostro articolo Opzioni a breve e lungo termine per studiare in Giappone per farti un’idea delle opportunità che ci sono.

Per altre informazioni puoi consultare il nostro blog o contattarci compilando questo modulo dal nostro sito.

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