Origami giapponesi: l’arte delle anime di carta

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Quadrati, ovali e scatole, ma anche gru, rane e fiori di loto: l’arte di realizzare origami giapponesi è una delle più antiche e gode di grande popolarità grazie agli elaborati disegni e alla bellezza della washi (和紙). Washi è la carta giapponese robusta e di alta qualità usata per gli origami e che nel 2014 è addirittura divenuta patrimonio dell’Unesco.

Vediamo insieme com’è nata questa delicata arte della carta.

L’origine degli origami giapponesi

La parola origami deriva dall’unione del verbo oru (折る, piegare) con kami (紙), che significa carta; in poche parole è l’arte di piegare la carta.
 Ma se si scrive con un kanji diverso, la parola kami può significare anche “dio” ed è proprio nell’ambito religioso che si hanno le prime testimonianze degli usi dell’origami.

Si dice che la tecnica della realizzazione della carta venne importata dalla Corea, all’epoca provincia cinese, grazie ad un monaco buddhista di nome Doncho nel 610; il buddhismo giocò un ruolo fondamentale nella sua diffusione, complici i numerosi sutra e testi sacri usati per le preghiere, ed erano proprio i monaci ad occuparsi della fabbricazione.

La crescente richiesta della carta fece sì che venissero sviluppate nuove tecniche di realizzazione, portando il Giappone a prendere le distanze dal metodo cinese e dando vita ad un nuovo tipo di carta, più elastica e resistente all’acqua: la washi.

La carta non era considerata soltanto uno strumento per scrivere, perché si pensava che servisse a fare da tramite tra gli uomini e gli dei: le fibre vegetali, macerate e ridotte ad una finissima pasta, tendevano a galleggiare sull’acqua durante il processo di realizzazione e venivano quindi associate alle divinità e al concetto di continua trasformazione.

Non c’è da stupirsi se le prime forme di origami nacquero proprio nei templi: per simboleggiare il collegamento tra il terreno e il divino si prese a piegare in modo particolare delle strisce di carta bianca, che presero il nome di gohei (御幣); il gohei veniva usato per delimitare uno spazio sacro o per purificare, e veniva anche dato in dono ai vincitori dei tornei di sumo al posto del denaro. Fu il primo esempio di quello che viene oggi riconosciuto come origami.

La diffusione dell’origami

Con il passare del tempo anche la classe nobiliare giapponese iniziò a interessarsi all’arte di piegare la carta, e non solo con valenza religiosa: si creavano scatole e pacchetti, oppure si dava vita alle forme più disparate per decorare le case o come forma di augurio.

Pur venendo introdotto anche in Europa attorno al 1200, l’origami non ottenne mai il grande successo che ebbe in Giappone, dove divenne materia scolastica negli asili e alle elementari e vennero stampati un grande quantità di libri con le tecniche più difficili per accontentare anche gli adulti.

Al giorno d’oggi gli origami giapponesi godono di grande popolarità in tutte le parti del mondo.

Simboli e significati

I giapponesi sono molto legati alla simbologia e l’arte degli origami ne è un esempio: pur essendoci migliaia di modelli possibili, i disegni più ricorrenti sono quelli con un significato ben preciso.

La gru è senza dubbio il modello più conosciuto e apprezzato: simbolo di lunga vita e felicità matrimoniale, l’origami con questa particolare forma veniva usato come offerta nei templi e come augurio di pronta guarigione per i malati.

Secondo una leggenda giapponese, colui che riuscirà piegare mille gru di carta potrà realizzare un desiderio; questa credenza è conosciuta anche all’estero grazie alla storia di Sadako Sasaki, una bambina di Hiroshima a cui venne diagnosticata una grave forma di leucemia causata dalle radiazioni della bomba atomica.

Costretta in ospedale in gravi condizioni, Sadako iniziò a piegare 1000 gru di carta con la speranza che non solo lei, ma anche tutte le persone del mondo potessero guarire; alla sua morte le venne dedicata una statua nel Parco del Memoriale della Pace di Hiroshima.

Un’altra forma tradizionale è la rana, popolare soprattutto tra i bambini per la sua caratteristica di poter saltare se pizzicata sulla coda; la parola giapponese che indica la rana, kaeru, ha la stessa pronuncia del verbo “tornare” ed è un tipo di origami che può essere regalato a chi parte per un viaggio o a chi si desidera rivedere presto.

L’arte dell’origami giapponesi dimostra come dai materiali più semplici possano nascere le cose più belle, mantenendone comunque intatta l’anima; queste sculture di carta colorate, all’apparenza così fragili e banali, incarnano uno dei concetti più amati della filosofia orientale: nulla è fisso, tutto si trasforma.

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