Piccolo, dispettoso tanuki: storia del leggendario cane procione

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Se dico “folklore giapponese”, qual è una delle prime cose che ti viene in mente? A me quella lunga lista di spiritelli e animali leggendari che popolano l’immaginario collettivo autoctono fin già da epoche molte remote, e che sono categorizzati come yōkai. Essendo per lo più associato all’orrido, questo termine assume, in genere, una connotazione negativa, ma la lista degli yōkai giapponesi non è solamente composta di esseri diabolici e terrificanti. Il tanuki, ad esempio, è uno di queste.

Anche conosciuto come “cane procione”, il tanuki è una creatura amichevole e curiosa, dai peculiari poteri magici e l’aria bonacciona, che condivide la sfera del reale con l’essere umano, da cui spesso si camuffa. Camminando tra le strade di Tōkyō, ti capiterà di vederne a decine, se non centinaia, sorridere sornioni in fila davanti a negozi (soprattutto taverne tradizionali ed izakaya) e abitazioni, e questo, già da sé, dovrebbe darti l’idea di quanto queste creature siano parte integrante della quotidianità giapponese. Ma cos’è esattamente un tanuki e da dove nasce la sua leggenda?

Un po’ di storia

Chi ha guardato il film Pom Poko dello Studio Ghibli senza innamorarsi dell’immagine allegra e giocosa dei tanuki che ne sono protagonisti? Il gruppetto, persa la propria terra dopo l’urbanizzazione di Tōkyō e costretto a nascondersi in una società sconosciuta da cui è, allo stesso tempo, incuriosito, ha abituato il popolo occidentale ad un tanuki divertente, impulsivo e un po’ tonto, poco abituato a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni e capace di intenerire con la sua ingenuità. Eppure, sarai molto sorpreso di sapere che il tanuki non è sempre stato così dalla sua nascita.

Nelle leggende giapponesi, il tanuki è un animale magico in grado di modificare il proprio aspetto per assumere diverse sembianze, in particolare umane. Arrivato in Giappone dalla Cina tra il IV e il VII secolo d.C., unitamente alla tradizione folkloristica legata al mito della volpe, il cane procione era nell’antichità considerato uno spirito maligno portatore di sventura, data la sua tendenza a perseguitare gli uomini e impossessarsi dei loro corpi.

Prime testimonianze sui tanuki si ritrovano in testi letterari come il Nihon Shoki (periodo Nara, 720 d.C.) e il Nihon Ryōiki (periodo Heian, 787-824 d.C.), in cui le misteriose creature si tramutavano in uomini per imitarne azioni e comportamenti. Come la volpe, anche il tanuki può assumere l’aspetto di una donna seducente per attirare nei boschi le sue prede, sebbene il suo travestimento caratteristico sia senz’altro il monaco (狸坊主 tanuki bōzu), di cui sa intonare perfettamente i canti funerari rituali.

Per lungo tempo, i cani procioni giapponesi sono stati considerati creature vicine al divino e governatori del mondo naturale. Con l’introduzione del Buddhismo hanno, però, perso il loro ruolo privilegiato e la loro raffigurazione snella e inquietante, molto simile a quella della volpe, si è tramutata nella versione ridicola odierna.

Il tanuki contemporaneo

Il tanuki come lo conosciamo oggi ha caratteristiche molto diverse da quello del passato, sia nell’aspetto che nel ruolo. La sua trasformazione è stata graduale e ci sono voluti diversi secoli prima che assumesse la sua forma definitiva. È difficile stabilire una data precisa di quando il cambiamento nel tanuki moderno sia avvenuto, ma è plausibile datarlo tra il XVIII e il XIX secolo (tardo periodo Edo).

Il folklore lo vuole raffigurato come un procione (o un tasso) antropomorfo di grossa stazza, con una pancia enorme e una foglia di loto sulla testa. Secondo gli studiosi, la foglia potrebbe essere un rimpiazzo del teschio umano che la volpe cinese è solita tenere sulla testa prima di trasformarsi. Solo nel XIX secolo, la foglia è stata rimpiazzata con un cappello di paglia, di quelli che i monaci itineranti utilizzavano per ripararsi dalla pioggia e dalla neve. L’idea proviene, forse, da alcuni canti kyotesi e osakesi del XVI e XVII secolo.

Un secolo più tardi (alcuni ritengono), nella stessa area, si aggiunse il particolare del tokkuri (徳利), il fiasco di sake che il tanuki porta sempre con sé. Ma forse, il particolare che del tanuki incuriosisce maggiormente è il suo enorme scroto magico.

Significato di kin no tama

Gli studiosi sono inclini ad accettare la spiegazione fornita nello Hagane no Chishiki (鋼の知識, 1971) da Ōwaku Shigeo. Secondo lo scrittore, la leggenda dello scroto gigante si origina nella prefettura di Kanazawa. Gli artigiani metallurgici produttori di foglia d’oro avevano l’usanza di avvolgere sferette del prezioso metallo nella pelle di tanuki prima di procedere al martellamento che lo avrebbe appiattito. Si diceva tra gli artigiani che l’oro fosse così malleabile e la pelle del tanuki così resistente, che anche una minuscola sferetta d’oro potesse arrivare ad estendersi fino ad un’ampiezza di otto tatami (circa 12 mq), che non a caso è il numero che appare sul tokkuri del tanuki.

L’espressione “sferetta d’oro” è la traduzione dal giapponese kin no tama (金の玉), molto somigliante al volgarismo kintama, con cui in giapponese ci si riferisce ai testicoli. Il gioco di parole restò quindi associato allo scroto del tanuki, divenendo simbolo di prosperità, con l’augurio che le proprie ricchezze potessero espandersi proprio come l’oro contenuto nella sua pelle.

Il tanuki, dunque, come portatore di denaro e buon auspicio. Non sorprende più adesso che i commercianti amino circondarsene il più possibile, vero?

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